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Cuba

Cuba

Era l’estate della Macarena, un’estate idiota come tutte le altre, e noialtri inconcludenti ce ne stavamo a un tavolo all’aperto del Bar Sosta, allungati sulle sedie a fissare il nulla con la sigaretta in bocca. Se i nostri sguardi sfuggivano al vuoto cittadino era solo per penetrare il vuoto circoscritto dalle gambe femminili di passaggio.

Il piccione schiacciato l’avevamo visto tutti, ma nessuno diceva niente, cercavamo di ignorarlo, di scavalcarlo con lo sguardo, ma i suoi resti erano sempre lì, sulla strada davanti a noi, e volenti o nolenti tra un vuoto e l’altro gli occhi ci cadevano sopra. Doveva averlo investito qualcosa di grosso, un autobus forse, poiché non si vedevano che poche penne tremolanti piantate in un grumo di carne spappolata. Ho idea pensassimo tutti quanti la stessa cosa, più o meno, che prima o poi ci tocca a tutti e che fine orrenda aspetta già qualcuno e che diavolo si vive a fare e via dicendo. Le nostre parole, però, si limitavano a qualche esplicito commento sulle ragazze che ci passavano davanti con le gambe tutte nude, gialle come il sole.

Avete visto il piccione? Marzio si portò alla carcassa con passo ubriaco.

No, aspettavamo te, imbecille, disse Oscar.

Allora siete ciechi! disse Marzio compitamente, il cervello incapace di cogliere il sarcasmo, inetto a raccogliere le offese. Siete ciechi, tornò a dire, e scoppiò in una risata matta, poi ci guardò con i suoi occhi azzurri, tiroidei, da vitello. Ci guardò a uno a uno con riprovazione come a ribadire quanto eravamo ciechi, e ridacchiava, caracollava su quelle sue gambe troppo magre, si scaccolava il naso ripulendosi le dita sulla pancia prominente, enorme, gonfia di alcol, e di pastigliette, come le chiama Pierone.

Pierone conosce Marzio da tempo immemorabile. A quanto pare, Marzio non è più rientrato da un acido andato storto. Una sera in cui la pioggia veniva giù nera come merda, Pierone mi disse che Marzio abitava ancora con la madre, una mezzo rimbambita con i capelli cotonati color cinabro che viveva in ciabatte, gli preparava da mangiare, gli sbriciolava le pastigliette nella pastasciutta, e gli dava dieci euro al giorno per le sigarette e il bar. I soldi erano suoi, di Marzio, frutto della liquidazione e della pensione di invalidità, ma stando a Pierone era sua madre a amministrarli. Se con gli acidi Marzio si è bevuto il cervello, disse Pierone, l’eroina gli è costata la perdita del lavoro e la sieropositività. Disse che prima del licenziamento, Marzio faceva il conduttore di autobus all’ASDU (Azienda Servizi Disservizi Urbani): il licenziamento aveva seguito il secondo dirottamento, disse. In entrambi i casi, disse, aveva un appuntamento con il pusher, e in entrambi i casi ci è andato con i passeggeri a bordo, guidando imperterrito per quasi sette chilometri, dirottando il mezzo pubblico verso la sua meta personale, ignorando le proteste dei trasportati. Raggiunta la destinazione, Pierone fissò per qualche istante la brace della sigaretta, raggiunta la sua destinazione, Marzio ha fermato l’autobus, ha spento il motore, poi è sceso, ha comperato la busta di eroina sotto gli occhi di tutti, ha tirato fuori acqua accendino cucchiaino mezzo limone e poi se l’è iniettata in piedi lì dov’era, la schiena appoggiata alla fiancata dell’autobus. Intanto i passeggeri, non osando scendere, schiacciavano il naso contro i finestrini per vedere meglio quello che non volevano vedere. Poi con tutta calma Marzio è risalito a bordo, si è stravaccato sul sedile di guida, si è fumato una sigaretta fino al filtro, ha riacceso il motore e è tornato sui suoi passi, conducendo l’autobus con una tranquillità insolita, mandando amabilmente a cagare i passeggeri che protestavano tutti indignati. Dopo il licenziamento, Pierone aspirò nicotina dalla sigaretta come ossigeno dalla maschera, Marzio ha preso l’acido fatale, e ricoverato in psichiatria, gli hanno diagnosticato una qualche forma di schizofrenia.

Nel frattempo Marzio si era messo a gambe larghe proprio sopra il piccione, e ci dava le spalle quando prese a piegarsi in avanti. Noi sfaccendati guardavamo la sua faccia capovolta scendergli in mezzo alle cosce e avvicinarsi alla carcassa, e la faccia si faceva sempre più rossa per il deflusso sanguigno.

Non puzza! disse ridendo, e i suoi denti mezzo marci stavano dove avrebbe dovuto esserci la fronte.

No, puzzi più tu da vivo che lui da morto, disse Oscar.

Bastardo! ringhiò Pierone.

Non gli hai sentito il fiato? disse Oscar. Per me si lava i denti con la merda.

Pierone, lo sai che vado a Cuba? disse Marzio rimettendosi diritto. Ho già il biglietto. Sai quanta figa! Si portò una mano alla patta.

Bravo, impestale tutte, così non ci resterà un solo buco sano, sghignazzò Oscar.

Poco prima di partire, Marzio venne a salutarci. Un massiccio marsupio verde ramarro gli pendeva sotto la pancia come un tumore esposto. Sul marsupio si stagliava viola lo slogan della compagnia di viaggio: Cubaturistica, la vacanza è sacra mica mistica. Indossava jeans troppo lunghi tutti arricciati sul collo del piede e scarpe da ginnastica bianche a strisce blu nuove fiammanti. Aprì lo zip e tirò fuori un mucchio di banconote da cento dollari. Prese a sventolarsele sotto il naso.

Sei matto, mettile via, disse Pierone, poi scosse la testa e mi lanciò uno sguardo sconsolato.

Dopo nemmeno una settimana di permanenza, Marzio venne espulso da Cuba in quanto ospite non gradito, così mi disse Pierone. Da quando è tornato, non l’ho più visto, disse.

Un pomeriggio afoso sempre di quell’estate della Macarena, mentre noialtri esseri inutili sedevamo tutti allungati sul plateatico del Bar Sosta a fissare il nulla con la sigaretta in bocca, Pierone disse che la notte precedente Marzio era finito sotto un autobus, non lontano da lì, attorno alle due, quando gli autobus compiono il loro ultimo tragitto e a guardarli passare tutti illuminati e vuoti ti vien voglia di suicidarti.

Così disse a occhi bassi. Quasi tutti si guardarono in giro con sguardi muti e facce inespressive come non avessero la bocca – lo vidi chiaramente,  le labbra erano tutt’uno con il resto della pelle. Uno faceva ciondolare il piede della gamba accavallata, come volesse liberarsene. Un altro si toccava le palle a occhi chiusi. Io avevo gli occhi aperti e pensavo al piccione spiccicato e immaginavo Marzio. Poi pensai che provvidenzialmente in quel momento Oscar non c’era.

 

Versione riveduta e corretta dell’omonimo racconto tratto da Onde Rosse, Roma 1998

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