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Family

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C’è questa prozia o meglio pro prozia giacché era la zia di mia nonna che tutto l’anno indossava un solo capo di abbigliamento che la fasciava dal collo alle caviglie come un abito talare nero e lustro ai gomiti con un’infinità di bottoncini sul davanti in stile Neo di Matrix e i suoi capelli raccolti in una crocchia erano candidi come le mentine che sempre aveva in tasca e che allungava a noi bambini e in bocca avevano la consistenza di un gessetto e prima di avviarsi su per le scale per poi ritirarsi a dormire in una stanza piccola piccola che ancora porta il suo nome in quel di Castenedolo narrava storie e le sue storie erano misteriose e dettagliate come le storie che amano i bambini e c’era quella storia che raccontava davanti a un candelabro acceso mentre la cera sfrigolava e le fiamme tremolavano nelle sue iridi molto nere in cui c’era una famiglia che abitava dentro il candelabro mamma papà e due bambini e la loro vita si svolgeva tutta dentro i bracci di quel candelabro in cui c’erano campagna e laghi e plaghe tenebrose e profondità marine e noi bambini guardavamo l’argentone luccicare e vedevamo la minuscola famiglia seduta attorno al tavolo davanti al fuoco né più né meno come noi davanti al candelabro ma loro infinitamente piccoli e a Zia Adelaide devo tantissimo devo il mio essere scrittore.

E c’era una zia non zia giacché era sorella di uno zio acquisito un ragazzo del novantanove che durante i bombardamenti per andare a insegnare lettere si faceva a piedi da Castenedolo a Brescia e poi ritorno e andata e ritorno le toccava buttarsi nei fossi non per schivare bombe che non venivano sprecate sulla campagna ma raffiche di mitraglia di un certo aereo yankee o british che chiamava Pippo e io mi chiedevo perché non Pipper se il suo nome era di matrice anglofona e tutto questo suo andare e tornare come un moto di marea la rese asciutta nervigna e forte e a Zia Nennella devo il coraggio o l’incoscienza di aver da ragazzo o ragazzaccio guardato negli occhi senza battere ciglio il buio occhio di più di una pistola.

E c’era una prozia questo però vera giacché era sorella dell’altra nonna che passava le giornate in piedi immobile con le mani dietro la schiena accostate al calorifero del guardaroba a riscaldarsi e a guardare il nulla con i suoi occhi leggermente strabici e socchiusi e cerulei e ciechi e a detta dei suoi nipoti non capiva niente poiché le dicevano in particolare uno le diceva Zitta Zelina senza nemmeno chiamarla zia e in cuor mio provavo dolore e indignazione e arrossivo e vibravo tutto poiché per me lei capiva eccome dal giorno in cui mi aveva chiesto di metterle in mano un’automobilina con cui giocavo e lei senza vederla giacché era completamente cieca aveva detto È rossa e a lei devo il potere immenso dell’immaginazione che mi permette di vedere persino la realtà e di conviverci più o meno.

E c’era una prozia o meglio la mamma di uno zio acquisito di cui per secondo porto il nome che papà raccontava avesse suonato la porta dell’amante del marito e quando la donna si affacciò sulla soglia la Signora Amelia che sempre portava un capellino di velluto blu e la veletta e un ombrellino in tinta quando la donna uscì Donna Amelia dalle nobili origini la prese a ombrellate sulla testa intimandole di lasciare stare suo marito tanto che papà ridendo divertito diceva che da quel giorno la cocotte era sparita dalla vita dell’aristocratico e dalla Signora Amelia mi deriva un certa mia eleganza cicisbeica e la campagnola cafonaggine che caratterizzano i miei modi.

C’era poi un cugino di mio nonno che scendeva in città da Solto Collina un paio di volte al mese forse tre e veniva a pranzo da noi e a Solto le sue sorelle gestivano una piccola locanda con osteria annessa e lui andava a caccia tutti i giorni tutto il giorno e si faceva la barba con la stessa lametta per un mese e mangiava schioccando la lingua e innervosendo mamma e poi si alzava e papà lo autorizzava prima di tornare a Solto a scendere al cinema Odeon e a entrare a nome suo senza pagare giacché papà ne era comproprietario e dopo un paio di settimane quando papà chiedeva a Gioanì de Solt se il film gli era piaciuto lui diceva Sì sì, piaciuto mi è piaciuto, grazie neh, ma non c’ho capito fuori niente di niente quando sono entrato lui era morto poi dopo stava bene e papà ridendo ogni volta gli spiegava che era entrato al secondo tempo ma gli occhi di Gioanì sbandavano di qua e di là e da lui mi arriva un propensione pressoché illimitata per l’incomprensione di ciò che è ovvio.

E risalendo indietro nei secoli mi viene in mente un certo Adone che era di un’avvenenza abbacinante e conquistava donne a iosa e lui per me è una sorta di personaggio mitologico un eroe attico un satrapo assiro da cui in piccola misura ho preso quel che ho preso. Poi c’era una certa donna di smodata bellezza forse madre o sorella o figlia o cugina di quell’Adone pare molto libera di cui ho scordato il nome che si dice fosse andata in India e avesse sposato un maraja per poi scappare via qualche mese dopo portandosi dietro uno scrigno zeppo di gioielli un tesoro inestimabile e da lei ho preso se non i gioielli l’amore per l’Oriente e per le avventure esotiche.

Più indietro non so andare in modo lineare e in un balzo fanciullesco sono già a Adamo e Eva belli biondi e nudi e sempre presi a fare niente beatamente in quel dell’Eden poi c’è un incomprensibile iato evolutivo e morfologico giacché dai due belli biondi e nudi si originano inspiegabilmente ominidi barbuti e brutti e coperti di pellacce animali verosimilmente puzzolenti dai quali pare discendiamo tutti anche gli svedesi glabri e deodorati che da bambini hanno già i capelli bianchi per non parlare degli albini.

Ci sono molte cose che non capisco e non capivo da bambino e nessuno mai ha saputo darmi una risposta. Ora che invecchio e benedico l’ottundimento che ne consegue vedo che non saper rispondere e dire Non lo so è un bel vantaggio quasi un super potere personale sempre disponibile. Ma di una cosa sono certo, è grazie a chi è stato e a ciò che è stato che sono ciò che sono e sono come sono e nei miei ricordi il ritratto dei miei congiunti più vicini è chiaro come l’alba quando inonda il Surat Thani e se non parlo in questa sede dei miei parenti prossimi è per pudore e per motivi di cui non mi va di parlare adesso.

 

Inside my bed, June 7, 2015

© 2018 by Giulio D.M. Ranzanici – All Rights Reserved

3 Commenti

  • Claudia Posted 11/09/2018 8:24

    ?…e come sempre, mia cara anima ,che anima la mia, il leggerti mi dona quella magnifica sensazione di perdermi e di ritrovarmi dentro una vasta e profonda vita.

    • Giulio Ranzanici Posted 11/09/2018 9:35

      Claudia… Grazie di cuore.

    • Giulio Ranzanici Posted 22/11/2018 10:39

      Claudia sono io che ringrazio te. 🙏😘😘

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