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Il mio vecchio

Il mio vecchio

Al solito, il mio vecchio sorvegliava il suo fetido universo protendendosi di là del bancone come un dio pagano zotico e avariato. Teneva un mezzo toscano all’angolo della bocca e lo stringeva tra i denti quasi lo volesse divorare, e le sue grosse dita erano premute sul ripiano del banco come schiacciasse i tasti di un invisibile strumento atto a rigovernare il mondo. E le bottiglie allineate alle sue spalle erano le canne d’organo da cui si sarebbe levato lo stridente accordo che lo avrebbe annientato a suo capriccio. Quando mi vide trasalì in un movimento della testa, un fremito nervoso simile allo scarto di un cavallo.
È l’ora di tornare, testa di cazzo, disse fissandomi. Liberato dal giogo, il sigaro gli caraccollò fuori della bocca, esitò per un istante e poi precipitò sul banco dritto come una bomba sganciata da un aereo, e nel punto d’impatto si levò uno sprizzo di faville. Il vecchio digrignò i denti e afferrò il sigaro e lo strinse tra pollice e indice e ne schiacciò ripetutamente la punta sul bancone, poi stette a fissarla irosamente e quando si fu assicurato che non poteva più nuocergli si ficcò il suo mezzo sigaro annerito dietro l’orecchio, come la biro un macellaio.
Testa di cazzo, tornò a dire. Tua madre è fuori dalla grazia di Dio. Diceva che ti eri perso sui monti, diceva. Che eri caduto in un burrone, che eri morto. Voleva che venissimo a cercarti, e piangeva. A uno a uno i giocatori alzarono la testa e mi guardarono di sottecchi, come donnole. Posai gli occhi sul mio libro ancora gocciolante.
Angela, Angela, gridò mio padre all’indirizzo delle scale. Scendi. Scendi subito. È arrivato il tuo marmocchio. Poi tornò a puntarmi gli occhi addosso. Pezzo di merda, disse.
Guardai i giocatori. Erano neri e selvaggi e avevano la faccia come mucchi di sassi sopra la fossa di un cane, e molti avevano la bocca sdentata. Il padre di Erika mi fissava con occhi sottili scrutandomi al di sopra delle sue tre carte sventagliate. Aveva la mascella prominente come la barbozza di un bue e la bocca mezza aperta in una specie di sorriso. Per un istante pensai di farglielo ingoiare, quel lacero sorriso, rivelandogli i sollazzi della sua bambina. Ma poi apparve mia madre. Aveva i capelli arruffati e gli occhi rossi. Indossava una logora vestaglia di panno e un paio di ciabatte rosa antico tutte sfondate. Le strascicò nella mia direzione in uno sgambettamento rallentato, da penitente, poi mi mise a fuoco e i suoi piedi si fecero vivaci e si precipitò su di me e poi si accucciò a scrutarmi ansiosa e strinse le mie mani tra le sue.

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