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La partenza seconda parte

La partenza seconda parte

Non sono una bambina, disse Luughita. E quelli sono tuoi.

Prendili, tornò a dire la madre. La figlia prese la banconota. Poi la madre tolse la tom ka dal fuoco, posò a terra la pignatta e si precipitò in camera, come se la repentinità dell’allontanamento le consentisse di lasciare in cucina il suo dolore.

Luughita guardò Fiu. Girava ancora attorno al tavolo tirandosi dietro la sua betoniera. Diceva cose senza senso con la bocca spalancata, e strie di saliva gli colavano sul mento in una bava di lumaca bianca e inconcludente. Luughita distolse gli occhi e guardò le tele. Erano prive di cornice e pendevano sbilenche dalle pareti annerite. Il vecchio le aveva dipinte prima che lei venisse al mondo, prima che lui e la madre lasciassero le risaie dell’Isàn in cerca di fortuna. Erano tre. Risaia all’alba, Risaia al tramonto, Risaia di notte.

Risaia di notte era completamente nera, e le pennellate erano così uniformi che la tela sembrava morta affogata in una tolla di vernice. Luughita uscì dalla cucina e raggiunse la camera di sua madre. Attraverso la porta chiusa la sentì singhiozzare. Bussò. Non ci fu risposta. Entrò e la trovò sul letto coricata su un fianco, la testa tra le braccia, le gambe ripiegate con le ginocchia al ventre. Più che una madre un grosso feto rannicchiato. Le chiese il permesso di portare con sé Risaia di notte. La vecchia tirò su con il naso e poi disse Va bene.

Luughita giunse le mani davanti alla fronte e si inchinò. Poi andò nella stanza che condivideva con Fiu. Mise le sue cose in un sacco di iuta, e intanto pensava a una valigia, una valigia tutta nera. E lucida. Tornò in cucina, arrotolò la tela e la infilò nel sacco. Poi prese la banconota da mille bath, la ripiegò e la mise nel vaso del curry giallo. Uscì e fece qualche passo. Poi tornò indietro e rientrò in casa. Andò dal fratello, lo abbracciò.

Un giorno verrò a prenderti, disse.

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