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La partenza

La partenza

Il mattino dopo Luughita entrò in cucina e s’inchinò a sua madre.

Ti devo parlare, disse.

La donna smise di rimestare la tom ka pak, mise le mani sui fianchi e guardò la figlia. La zuppa ribolliva nella pignatta, il fondo nero tutto carbonizzato. Il piccolo girava attorno al tavolo tirandosi dietro una betoniera gialla legata con lo spago. Alla betoniera mancava una ruota. Era di plastica e anche le ruote rimaste erano di plastica, e gli sballottamenti portavano nell’aria un rumore d’ossa. Alla fine del terzo o quarto giro, disse Qua-qua-quando t-t-t-orna p-p-pò. La donna guardava ancora la figlia. Luughita le allungò un biglietto da mille bath.

Mè, io vado. Dammi il tuo permesso.

La madre prese la banconota, poi la girò e rigirò tra le dita come per scovarne tracce della provenienza.

Chi ti ha dato tutti questi soldi. Tirò su gli occhi e scavò negli occhi della figlia. Chi te li ha dati, disse di nuovo.

Li ho messi da parte.

Messi da parte. E dove vuoi andare.

Via.

Via dove, la donna si passò le mani sul sarong e poi protese la testa verso la figlia.

Ovunque via di qui.

Sei minorenne, disse la donna e tornò a rimestare la sua zuppa. Fiamme gialle lambivano il fondo annerito della pignatta, un fastello di raggi di sole turbinanti su un mucchio di carbone.

So badare a me stessa, disse Luughita. E tra pochi mesi avrò diciott’anni, guardò le fiamme, le vedeva roteare o così le sembrava.

E cosa farai. Un po’ di zuppa tracimò fuori del bordo, la schiuma scese lungo il fianco della pignatta e poi sfrigolò sul fuoco e piegò le fiamme. La donna scostò la pentola e poi riprese a mescolare.

Ancora non so, disse la ragazza.

La donna abbandonò il mestolo che proseguì autonomamente la sua corsa compiendo una rotazione quasi completa della pentola, la parodia di un essere vivente piroettante. Poi si guardò le mani sfigurate – regalo di gioventù, cotenne gonfie d’acqua di risaia. E nelle tumefazioni cercava una risposta.

Luughita si fece avanti.

Non ti preoccupare, mè, disse.

Ma cosa farai.

Soldi. E ogni mese te ne manderò un po’.

E come li guadagnerai. La madre si torse un pollice. Era bitorzoluto come la radice del ginseng.

Con questa, disse Luughita e con l’indice si picchiettò una tempia. Concedimi il tuo permesso.

La madre si morse le labbra. Non so, disse.

Dammi li tuo permesso. Non costringermi a partire senza.

Vieni qui, disse la donna e l’abbracciò stretta. Lulu, Lulu, la mia bambina, la mia bambina, disse. Poi si sciolse dall’abbraccio e si passò le mani sulla faccia, a ricomporsi. Tienili tu, ne avrai bisogno. Le restituì la banconota.

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