fbpx

L’espulsa

L’espulsa

Platone, mamma, Platone!

Perché non la pianti e te ne vai a giocare con gli altri bambini?

Aveva ragione, mamma. Ha sempre avuto ragione, avrà sempre ragione.

Piantala. Non asfissiarmi.

Tu ti asfissi da sola, mamma.

Lasciami in pace.

La pace è in te.

Non parlare come un prete adesso.

Non vedi che ombre, mamma, e ombre di altre ombre, non vedi che frammenti di papà.

Trattarmi così, non lo meritavo. E neanche tu.

È andato, mamma.

Mi ha lasciato, mi ha spezzato il cuore.

È un’illusione.

È sangue.

È menzogna.

È sangue.

Hai ancora tutto il tuo sangue. Litri e litri di sangue, mamma.

Va, va a giocare. Sei troppo piccola, non puoi capire.

Io vedo, mamma.

E cosa vedi?

Vedo la tua cecità. Vedo che non sei intera.

Già, sono a pezzi.

No, non sei intera, ma non sei a pezzi.

Mi fai diventare matta.

Lo diceva anche la maestra.

Per questo ti hanno espulsa.

Non significa che avesse ragione. Lei era più cieca di te.

Ma a scuola non ti vogliono più.

Non sopportano che una bambina di terza elementare ne sappia più di loro.

Cosa sai tu?

Niente, non so niente di niente. Però vedo tutto, mamma. Tutto.

Sei una presuntuosa.

Sono un mostro, ma non presuntuosa. Io vedo. Platone vedeva.

E cosa vedeva.

Ciò che è.

Bene, le vedi queste lacrime? Lasciami in pace.

Certo che le vedo, le tue lacrime. Sei tu che non puoi vederle. Se le vedessi si asciugherebbero con la luce dei tuoi occhi.

Tuo padre mi ha ucciso.

Mio padre non ti ha mai toccato.

È questo il modo in cui mi ha ucciso.

Non è andata così.

E come è andata sapientona?

Come doveva.

No, non sarebbe dovuta andare così.

Niente va come dovrebbe, tutto va come deve.

Ora basta, vattene in giardino!

Quando avrai visto.

Visto cosa?

Io, a questa storia della vita non ci credo.

E in cosa credi?

In me, nel niente che sono. Per questo mi hanno espulso da scuola.

La maestra non la vedeva così.

Lei non vede perché è cieca, non è colpa sua.

E di chi è la colpa?

Non ci sono colpe, solo cecità diffuse.

Parli come un rebus.

Parlo come mangio.

Ma se non mangi niente…

Mangio ciò che serve. Lo conosci il mito della caverna?

Me l’hai raccontato mille volte.

Ma non l’hai ma ascoltato, non l’hai fatto tuo.

Sono tutte sciocchezze.

Il tuo dolore è una sciocchezza, il dolore di tutti è una sciocchezza, mamma.

Tu dici solo sciocchezze.

Perché ho visto, mamma. Quando una ha visto, non può dire che sciocchezze.

E cosa avresti visto, saputella?

Che non c’è niente da capire. Che non c’è niente da esplorare, c’è solo da accettare, mamma.

Cosa, cosa è da accettare?

Che noi non siamo, mamma. Noi non siamo.

 

© 2018 by Giulio Ranzanici – All Rights Reserved

Aggiungi commento

Your email address will not be published. Required fields are marked *