fbpx

Verso la chiesa

Verso la chiesa

Posò lo zaino sul sellino e tirò fuori la t-shirt, la indossò, saltò sulla moto e avviò il motore.
Partì in sgommata seguito dalla solita raffica di scoppi e di prepotenza si inserì nel traffico della sera che in entrambi i sensi era denso e ondulatorio e rallentato dalla successione dei semafori e da una filza maleodorante di camion dei rifiuti che lo precedeva a passo d’uomo.
Li superò uno dopo l’altro con precisione da chirurgo, eseguendo manovre sul filo del rasoio, producendosi in derapate controllate in modo magistrale.
Prima del Big C svoltò a destra e poi a sinistra in uno slalom collaudato, e poco dopo si districava in una babele di scorciatoie sconnesse aggrovigliate nella giungla, e a fianco dei sentieri sabbiosi che andava percorrendo a gran velocità erano casupole con il tetto di fronde di palma, baracche di lamiera, alberi di tek, rovi, felci, palme da cocco e alberi di frangipani, banani, tamarindi, pozze con anatre e pulcini mezzo addormentati al seguito, detriti, sacchi di rifiuti integri e altri sventrati, materassi sfondati, fuochi accesi, micro officine e spacci alimentari ancora aperti, asili nido ora già chiusi.

E tutte queste cose e altre lì attorno erano risucchiate nell’oscurità che governava il mondo oltre i confini dei coni di luce proiettati dai fari, e perciò gli erano invisibili, e non esistevano mentre passava, e non erano esistite prima del suo passaggio e non sarebbero esistite dopo.
Entità diverse gli si paravano davanti tutte illuminate dai fanali, bambini nudi lacrimanti in procinto di attraversare, randagi pelle e ossa riversi sul ciglio della strada, gatti a fulmine, lampi azzurri di saldatrici elettriche, pennacchi di fumo a altezza d’uomo, e un bufalo meditabondo errante sulla carreggiata, rosa sotto i fari. E questi ostacoli troppo fulminei per processarli in validi algoritmi gli acuivano i sensi e la vigilanza, e l’andatura anziché ridursi si faceva via via più sostenuta, poiché la velocità era la mola che affilava le percezioni funamboliche necessarie a evitarli, era il perno su cui ruotavano le contrapposte forze in gioco, centrifughe e centripete.
Sempre così quasi volando raggiunse rapidamente il caseggiato di Banwrak.
All’altezza del Seven Eleven, prese un viottolo sulla sinistra, e poi girò subito a destra e imboccò il viale della chiesa, fiocamente illuminato. Lo percorse sbandando fino in fondo, e in una derapata conclusiva fermò la moto a ridosso di una palma senza chioma. Pierre lo sentì arrivare e saltò su dalla sedia e gli andò incontro ballonzolando su quelle sue gambe troppo corte, e scuoteva il testone come un cane basso e felice, e proseguì a quel modo finché lo raggiunse nel parcheggio.D

Aggiungi commento

Your email address will not be published. Required fields are marked *