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Mascara

Mascara

Dovrei essere una persona contenta di sé, a cominciare dall’aspetto. Le gambe si allungano tornite, i muscoli guizzano compatti, la pelle – elastica e abbronzata tutto l’anno – aderisce come un tessuto denso, morbido al tatto. I seni si schiudono tondi, sostenuti. Le mani, ben curate, sanno muoversi con piglio e garbo, le unghie – lame smaglianti e trasparenti – disegnano nell’aria parabole di luce. Il viso, più interessante che bello, non è privo di armonia. Lo sguardo, vagamente assente, sa divenire all’occorrenza profondo e espressivo. Le labbra sottili giocano a dischiudersi sui denti, ben spaziati, ben ordinati, come bianchi volumi sopra gli scaffali.

Ho un bel portamento, e fiero. Per strada, sguardi maschili mi attraversano la nuca. Sul lavoro, le colleghe sorridono, scuotono la testa e abbassano le palpebre posando sugli zigomi l’ombra scura delle ciglia.

Dovrei essere una persona contenta di sé, a giudicare dalle inclinazioni. La cultura è solida, non eccessiva, sufficientemente aperta. Parlo tre lingue compresa questa. So cucinare con passione, lavo, stiro e svolgo le altre faccende domestiche senza affanno. Mi diverte ricamare fiorellini azzurri e rosa su lenzuola, fazzoletti, tovaglie e tovaglioli.

Come i gerani sul balcone del soggiorno, così rossetti ciprie mascara si affacciano alla mensola del bagno: attendono notturni impieghi, quando il tempo si dispone alla cura della mia persona, l’aria acquietata della frenesia elettrica del giorno.

Arcuate sopra i tacchi a spillo, le scarpe di vernice spuntano dal guardaroba come gatti neri che si allungano al sole. Quando le indosso so che la notte sarà un soffio tra le stelle, le tenebre trafitte dalle mie zeppe acuminate.

Dovrei essere una persona contenta di sé considerando anche il carattere. Sensibile e ben equilibrata l’identità si propaga nei ruoli della vita senza frantumarsi. Ironica e consapevole la personalità si dispiega con acquisita naturalezza nel rapporto con il mondo. Amante delle emozioni forti, delle guerre calde e delle ubriacature sentimentali, so godere pure di sensazioni sottilissime (come quando mi imbevo, per esempio, della quiete apparente della luna calante tra un’altana illuminata, un’antenna sghimbescia e la mia pupilla dilatata; oppure quando ricevo l’odore del sugo all’origano che il mattino dopo si diffonde dallo stesso belvedere).

Dovrei essere una persona contenta di sé. Il lavoro, coinvolgente e rimunerativo, mai tiranno, mi consente di esprimere in armonico dispendio di tempo e di energie, il ruolo del caso, con appagamento del senso estetico, della coscienza di me e del naturale piacere di ricevere approvazione.

Devo essere una persona contenta di me, se penso a mia figlia, ai miei baci affondati sul collo, sul dorso delle mani, attorno all’ombelico, quando, sul letto, la sormonto a cavalcioni e le solletico i ginocchi i polsi le ascelle i fianchi di bambola viva tra le mie bambole vere. Sotto tortura, lei ride, si contorce e si dimena (per difendersi mi pizzica le cosce sotto la gonna), finché squittendo implora: “Basta, basta… mi fai morire dal ridere… smettila, ti prego… mi arrendo, papà!”

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