Sono passati moltissimi anni da quel giorno di giugno costellato di duroni gialli che nella mia mente, oggi, vedo ruotare attorno alla data come decorazioni floreali impresse sulla pagina di un calendario a strappo, eppure quelle due parole, afa e canicola, non le ho dimenticate. Né ho dimenticato mamma e papà, e mia sorella e i miei fratelli com’erano allora, così piccoli, anche lei e il maggiore, rispetto a me oggi, che sono grande. Dentro di noi vivono, inserite l’una nell’altra come matriosche, tutte le stagioni della nostra vita. Quando dichiariamo la nostra età, pecchiamo sempre per difetto, anche quando non mentiamo. Avere cinquant’anni, in realtà, significa averne cinquanta più quarantanove più quarantotto più quarantasette… giù giù, contando a ritroso gli anni fino all’anno zero, l’anno della nostra nascita. In ciascuno di noi convivono tutte le età vissute, età che per effetto del lavorio della memoria nel tempo si fanno mitologiche, diventano ere. Siamo infinitamente più vecchi di quello che pensiamo quando ci atteniamo ai principi elementari dell’aritmetica. Dentro il vecchio decrepito sono l’anziano, l’uomo maturo, il giovane, l’adolescente, il bambino, il poppante che è stato, e ciascuno di essi vive e continua a vivere la sua vita autonoma che l’uomo di oggi, logoro e consunto, può solo seguire con gli occhi della mente essendogli preclusa la possibilità di rivivere le stagioni che sono state e non sono più le sue. Se si trattasse di semplici ricordi, sarebbero ricordi analoghi a quelli dei film che abbiano visto al cinema o in TV; film che, per quanto vecchi, indipendentemente da noi che li ricordiamo, esistono tuttora e rivivono da capo la loro propria vita ogni volta che vengono tratti fuori dagli archivi delle cineteche e proiettati in una sala. E se anche, come a volte capita, ci dimentichiamo di noi stessi o non abbiamo la forza di guardare noi stessi nell’imbuto del passato, le ere della nostra vita, le nostre età trascorse continuano a marciare per conto loro, ciascuna diretta al futuro che le è proprio. L’unica breccia temporale in cui il futuro può farsi avanti con chiarezza è il passato. Così, quando ripenso alla mia quinta elementare, non posso non avvertire il fremito di ritrovarmi in prima media l’anno dopo, l’eccitazione di pensarmi finalmente grande nel giro di poco tempo, mentre quando oggi penso al mio futuro, non vedo che nebbia, non vedo che dubbi persino su ciò che farò tra tre minuti.
Afa e canicola fanno parte integrante e sostanziale dei Paesi tropicali come le planimetrie fanno parte degli atti notarili cui vengono allegate. E se è vero che nel tempo ho perso la voglia e la capacità di fare capriole nei prati, mi è rimasta, intatta, l’attitudine a girarmi e rigirarmi nel letto quando fa troppo caldo, tanto che, per sentire la presenza di mamma accanto a me, devo attingere, non al suo ricordo, bensì a una stagione della vita che non mi appartiene più ma che continua a scorrere senza di me con me bambino accaldato protagonista delle scene in cui mamma era – e in quella stagione è ancora – presente. La circostanza che non si tratta di ricordi sta proprio in questo girarmi e rigirarmi nel letto. Non si tratta di rievocare, ma di riassorbire, vivendolo oggi, un momento della vita sovrapponibile a quello vissuto dal bambino tanto tempo fa. Non nella mente, ma nel corpo dimorano le sensazioni che fanno capo alle varie età della nostra vita, perciò mi è facile richiamare il senso di mancanza della mamma: il buco nel petto è lo stesso di quando la aspettavo senza successo per il bacio della buonanotte quando arrivava tardivo, dopo che mi ero già addormentato. E dato che per un bambino, così come per un cane, l’assenza di una figura di riferimento è percepita come permanente e definitiva, l’identità delle sensazioni passate e presenti, ora che mamma non è più per sempre, è assoluta. D’altra parte, se mi è impossibile rivivere la gioia che provavo da bambino facendo capriole nei prati, è perché, le capriole, per quanto me le ricordi con gli occhi della mente, non le faccio più da allora: da vecchio, ne ho perso la memoria che fa capo al corpo, ne ho smarrito la memoria cellulare.
Lamai, 2 luglio 2019
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