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La nana

La nana

Un giorno Donna Belonga e il gatto si imbatterono in una nana che veniva loro incontro sul sentiero che taglia la foresta a monte del tempio di Lamai.

Sembra di non incontrarla mai, disse il gatto. Noi camminiamo camminiamo, lei avanza ma resta sempre piccola.

Non così piccola, disse Donna, e in tre falcate fu su di lei. Questo via, disse, strappandole il crocefisso che portava al collo.

La nana disse No, ma il crocefisso era già sparito nella vegetazione. Perché l’hai fatto? disse.

Offende la sacralità della vita umana, disse Donna.

È vero disse il gatto, dice così a tutti.

Lui parla? disse la nana, sgranando gli occhi.

Anche troppo, disse Donna.

Vuoi sapere cosa dice sempre? disse il gatto. Ormai lo so a memoria. Dice Trovo blasfemo il crocefisso ovunque lo si metta, scuole, chiese, ospedali, tribunali, poste, istituzioni varie o appeso al collo delle persone. Un cadavere sanguinolento inchiodato a una croce offende la sacralità della vita umana.

La nana ascoltò a occhi sbarrati, erano azzurri e un po’ sporgenti, e al gatto piacevano tanto che ripeté con voce stentorea ciò che aveva appena detto. Prima che avesse finito, la nana era caduta a terra svenuta. Donna la raccolse, se la mise in spalla e disse Eccola qui, la nostra nuova attrazione.

La vuoi lanciare? disse il gatto.

Donna stette lì per un istante.

Forse esibire, disse poi.

Tutta nuda?

Ancora non so. Ci voglio riflettere.

Sono curioso, disse il gatto.

Anche gli uomini lo sono. Verranno a frotte per vederla.

E Erica.

Non la farò venire. Ho visto come agitavi la coda, cosa credi?

E il bambino?

Prima o poi lo incontrerò.

E i tuoi doveri di padre?

Pensa ai tuoi di doveri, citrullo. Difendere la chiesa…

Non me l’hai ancora perdonata?

Gli umani chiamano perdono ciò che raccontano di provare quando l’odio viene loro a noia. Tranquillo, io non ti odio e non ti perdono.

Ma il bambino?

Erica se la caverà.

Ne farai una ragazza-madre?

Ragazza-madre… ma come ti è venuta? Se la caverà benissimo. È più forte di tutti noi messi insieme.

La tredicesima colonna?

La prima, a sentir lei. La più antica. Ha più di settecentomila anni, dice.

Ma ne dimostra trenta, giusto?

Venti. Anche qualcosina meno, mentì Donna per farsi bello.

Il gatto si passò la lingua sulle labbra. Stette lì a rimuginare per un po’, poi disse E il bambino?

Cosa?

Sarà un maschietto o una femminuccia?

Che ne so. Ma come diavolo parli?

Come l’animo poetico che sono. Chi ha scritto l’Iliade e l’Odissea? Chi l’ha scritto, L’ecclesiaste?

Be’, ti sei deteriorato. Maschietto, femminuccia: ti esprimi come una lettrice di romanzetti rosa.

È che sono un tipo sensibile, i poppanti mi fanno palpitare il cuoricino, il gatto strizzò gli occhi, poi li dilatò in modo abnorme. E quindi il piccolo…

Hai finito?

Sarà bello come te o come lei?

Mi prendi per il culo?

No no, disse il gatto, per niente. Lo sai anche tu di essere un bell’uomo. Certo, hai la testa un po’ troppo piccola per essere alto come un cammello, hai la pelle troppo scura e le spalle spioventi a collo di bottiglia, e i denti tutti rossi fanno un po’ impressione, e quelle dita a chela d’astice… ma tutto sommato sei un bell’uomo, lo sai benissimo.

Hai finito? Speriamo somigli a sua madre.

Quel gran pezzo di topa. Meno di vent’anni…

Cammina. Ma quanto pesa sta qua.

Perché è tozza.

In che senso?

Nel senso di tozza. Questione di peso specifico.

Non eri un disastro in matematica?

Questa è fisica, mio caro.

Chiudi il becco. Devo riflettere.

Si misero, più tardi, al riparo di un albero di tek. Donna adagiò a terra la nana ancora esanime, il gatto la fiutò tra le gambe.

Questa non puzza, disse.

Ah, no? Disse Donna.

No, sa di pesce.

Donna fissò una palma da cocco lì vicina e dopo un istante tre noci vennero giù facendo toc e poi rotolarono ai loro piedi.

Sai aprirle? disse al gatto.

Il gatto si mise in stazione eretta, afferrò una noce con le zampe anteriori e fece per fracassarla sulla testa della nana.

Se la rompi l’acqua andrà persa, disse il santo. E anche la nana.

Voglio soltanto svegliarla, disse il gatto, sono sicuro che lei sa come aprirle.

E per svegliarla le vuoi sbattere una noce di cocco in testa?

Non in testa. Sulla fronte. È la parte più dura del cranio, non lo sapevi?

Io so tutto. Anatomia Uno.

Però questa qua, la fronte, ce l’ha bella sporgente. Potrei usarla a mo’ di cuneo. La nana non andrebbe persa.

Ma l’acqua sì. Metodologie di risveglio alternative?

Graffiarle gli occhi?

Chiamarla per nome, no?

Come si chiama?

Non lo so, disse Donna, poi si morse la lingua, ma la frittata era fatta.

Il gatto non disse nulla, si limitò a guardarlo con sufficienza. Lo fissò a lungo compiacendosi della vista del viso del mistificatore, del santo, dell’onnisciente che per una volta non onniscieva avvampare come quello di un’educanda palpeggiata. Quando si sentì sufficientemente compiaciuto, portò il muso a un dito dall’orecchio sinistro della nana e urlò con quanto fiato aveva in gola Nana! Nana! Nanetta!

Quella strabuzzò gli occhi, vide il gatto che ancora urlava, e li richiuse.

Apri gli occhi, disse il gatto, lo so benissimo che sei sveglia, apri gli occhi o te li apro io con gli artigli.

La nana aprì gli occhi. Disse Chi siete? Cosa volete? Non sono che una povera raccoglitrice di funghi di pianura, cosa volete da me? Volete i miei funghi, e frugò nelle sue misere vesti e tirò fuori una manciata di chiodini, o così sembravano. Tieni, disse protendendo la mano verso Donna.

Non li voglio i tuoi funghi, voglio che apri quelle noci, disse lui.

Le noci, disse lei. Prima il tuo gatto voleva farmi aprire gli occhi, ora tu vuoi che apra le noci. Mi domando cosa mi chiederete di aprire da qui a un minuto.

Le gambe? disse il gatto.

La nana si mise in piedi e dalla veste trasse un machete e con quattro o cinque colpi ben assestati intagliò una specie di coperchio sulla sommità di ciascuna noce.

Donna e il gatto scoperchiarono il lembo e bevvero a sazietà, e così fece anche lei.

Quando si fu dissetato, il gatto disse Ho tanta fame che mi mangerei un pitbull, e disse l’intera frase in un rutto solo.

La nana disse lo stesso, anche lei in un rutto solo.

Donna trasse di tasca due sardine essiccate e le moltiplicò, la nana chiese del pane, ma il gatto obiettò che il pane di Donna faceva schifo, così mangiarono solo sardine e poi dormirono. Sotto l’albero di tek l’uomo nero e lungo dai poteri divini, il gatto bicolore voluttuoso e cinico, e la nana dalle vesti piene di sorprese dormirono fino a sera, e per tutto il tempo le creature del sottobosco, insetti e insettivori, e le altre più grandi abitatrici dei piani intermedi della foresta non li disturbarono. Solo un serpente, un sette passi verde smeraldo, osò strisciare in prossimità del trio ma quando vide l’occhio del gatto socchiuso e giallo che lo seguiva ondivago, ripiegò e svanì zizzagando via velocemente.

Si svegliarono che era notte fonda. La nana disse Mio marito.

Cielo, suo marito! disse il gatto.

Tuo marito cosa? disse Donna.

Nano pure lui? disse il gatto.

Sarà in pena per me, disse la donna.

No no, tranquilla, disse il gatto, si sarà già consolato. Lascialo dire a me che i maschietti li conosco.

La nana si frugò nelle tasche. Oddio, il telefono, il mio telefono, ho perso il telefono, strillava.

Era un Samsung o un’iPhone? disse il gatto.

Prestami il tuo, disse lei rivolta a Donna, lo voglio avvertire.

Mai avuto un telefono in vita mia, disse Donna.

Nemmeno io, disse il gatto. Anche se quasi quasi un Samsung…

Dove state di casa, disse Donna.

Oltre quel monte, disse lei e puntò l’indice nell’oscurità, e al gatto non sfuggì quanto era tozzo.

 

Lamai, Samui, Th, 21 luglio 2019

Tratto da Così disse Donna Belonga

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