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Lei, dunque

Lei, dunque

Lei, dunque, dopo quarant’anni, era ritornata in vita, giovane, proprio in occasione della festa. Il corpo minuto, efebico, quasi interamente scoperto e gli occhi languidi, neri e oblunghi splendevano all’unisono nella sera, e io la accompagnavo nelle mie vesti né vecchie né giovani, e tutti i presenti guardavano lei e poi guardavano me.

Devo stare attenta a non incontrare ciò che mi ha ucciso, diceva ancheggiando garbatamente, a certe cose non saprei resistere oggi come allora. Nell’overdose non c’è nulla di poetico, nulla di leggendario.

Sono con te, dissi, non hai niente da temere, e la presi sottobraccio e la portai a ballare sotto i riflessi delle luci e sotto gli occhi di tutti.

Salimmo, più tardi, una scala, lei davanti, io dietro, perché dei due il più innamorato ero io. A mezza scala, si fermò e disse Ho paura.

Sono qui, dissi.

Non di quello.

Di cosa, allora?

Di incontrare uno che mi piace, di aver voglia di andarci a letto, così, solo perché mi piace. Ho paura di ferirti.

Non è un problema, dissi. Sono della stessa razza tua, ho lo stesso sangue, le stesse inclinazioni. Una scopata, cosa sarà mai in confronto al legame che ci unisce?

Dissi proprio queste parole, Una scopata, cosa sarà mai in confronto al legame che ci unisce, ma qualcosa mi bruciava, non molto ma un po’ bruciava. E quando lei fece un segnale a un tipo tozzo, dai capelli lunghi e neri, con la barba nera, vestito tutto di nero con un cappellaccio ugualmente nero come un montanaro d’altri tempi, per giunta più giovane di me, allora girai la testa e me ne andai, e poco dopo mi trovai stretto tra due donne. E una era il secondo grande amore della mia vita tornata giovane, e una una ragazza intelligente e forte che mi piace oggi perché ha testa, tanta testa, e ha la pelle delle braccia liscia anche dove è tatuata, e le baciavo entrambe sulla bocca ruotando la testa di qua e di là, e mi sentivo piuttosto felice, e questo è tutto ciò che so dell’amore macinato dai miei sogni.

 

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