fbpx

Sogni ordinari di una notte odinaria

Sogni ordinari di una notte odinaria

Tale era il suo dolore che, in lacrime, mi mise la grossa testa nel cavo della spalla, e io lo consolavo carezzandogli la nuca, e sapevo – senza che lui ne fosse consapevole –, sapevo che la ragione del suo pianto non era soltanto la morte repentina dell’unico figlio, ma l’assassinio che aveva commesso prima di raggiungermi al cenacolo del mercoledì, dove fianco a fianco sedevamo adesso. L’oratore, intanto, parlava con voce monocorde, ripetendo cose che già sapevo, che avrebbero dovuto sapere anche i convenuti che si fossero applicati nello studio della letteratura che ci accumunava tutti. Abbandonai la schiena sulla sedia tirandomi dietro quel testone in lacrime, e così avvinghiati ci addormentammo subito.

Passeggiavo, poco dopo, solo nella notte, lungo un viale tutto illuminato. In fondo al viale era un ponte, anch’esso illuminato a giorno e ponderavo che non c’è ponte al mondo che non sia più largo del fiume che scavalca, per quanto ampio possa essere il fiume scavalcato, e sul ponte vedevo le ombre di pochissime persone. Una voce forse proveniente dall’alto, forse dalle acque sottostanti, disse Come il fiume, così è la tua scrittura: scorrevole e profonda; e come il ponte è la tua scrittura: luminosa e vasta e quasi deserta. Abbi fede: quando farà giorno, la gente arriverà. Abbi fede, arriverà!

Mangiai, più tardi, un panino a bordo di un aereo, e quando noialtri passeggeri ci rendemmo conto che l’aereo stava precipitando dissi ridendo che per immortalarci a futura memoria non c’era nemmeno bisogno di lavarci i denti, giacché nessuno, prima dello schianto, ci avrebbe immortalato. Qualcuno si complimentò con me per il coraggio con cui affrontavo la morte. Io dissi che, se proprio ci teneva a complimentarsi, avrebbe dovuto farlo molto prima, al tempo dei romanzi in cui scrivevo della verità che ride di se stessa. A quel punto, ci fu l’impatto con il mare e affondammo imprigionati nell’aereo, tutti ancora vivi meno uno. L’acqua, però, era dolce, per cui non poteva provenire dal mare, bensì, come fu chiaro poco dopo, da una grande vasca, collocata sulla sommità di un monte. Uomini rana percorsero nuotando la cabina già quasi completamente allagata e ci soccorsero porgendoci le maschere di ossigeno mentre una gru imponente sollevava la carlinga gocciolante e un altoparlante ammoniva che si era trattato di un test militare per misurare il nostro grado di coraggio, una simulazione molto realistica per verificare chi di noi era degno di vivere; dopodiché la voce di un uomo che si qualificò come generale in capo maledisse l’unica vittima, un ragazzo letteralmente morto di paura ancor prima dell’impatto, che aveva ricevuto – disse il generale – la fine che merita il codardo.

Scendemmo, poi, a valle, feriti e non feriti, ciascuno nella sua propria cabina dell’ovovia, ciascuno coricato nel suo letto dotato di attrezzature mediche e di ogni comodità e soltanto quando fui a valle scorsi tre lecci in fila indiana, e ognuno di loro mi parlò di sé, e uno si chiamava Forza, uno Amore, l’atro Equilibrio, e ciò che mi dissero quegli alberi maestosi non può essere tradotto in parole umane.

 

Brescia, 7 maggio 2019

© 2019 by Giulio D.M. Ranzanici – All Rights Reserved

 

4 Commenti

  • Luisagosti Posted 07/05/2019 18:19

    Mi ha rapits.. Grazie bravò

    • Giulio Ranzanici Posted 07/05/2019 18:29

      Grazie a te, Luisa. Tu rapita dai sogni di una notte che hanno rapito me, non lo trovi bello?

  • Madi Posted 14/05/2019 22:21

    Ritrovo il mio, nel tuo diventare.

  • Giulio Ranzanici Posted 15/05/2019 6:43

    Il Tempo è democratico, il sangue, alla fonte, il medesimo sangue.

Aggiungi commento

Your email address will not be published. Required fields are marked *